Intelligenza Emotiva

0
46

Per decenni si è pensato che il quoziente intellettivo, il famoso IQ, fosse il più efficace predittore di successo professionale, un marker capace di indicare senza alcuna titubanza le qualità cognitive di un individuo. Le più grandi e blasonate Università hanno così utilizzato test d’intelligenza sempre più sofisticati per selezionare le giovani teste ad alto potenziale sul mercato. Parallelamente le grandi società di consulenza per le risorse umane e per la selezione del personale hanno mutuato le stesse logiche di test come spina dorsale dei propri programmi di assessment.

Insomma l’equazione era facile, alto IQ buone possibilità di successo e quindi prego si accomodi, basso IQ, mi spiace le faremo sapere.

L’egemonia dell’IQ è stata totale sino agli anni novanta, decade che vede il fiorire e il diffondersi di una nuova forma di intelligenza: quella emotiva.

Questo concetto è postulato per la prima nel 1990 nell’articolo “Emotional Intelligence” scritto a quattro mani da Peter Salovey e John D. Mayer. I due professori definiscono così l’intelligenza emotiva: “La capacità di controllare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni”.

Qualche anno più tardi, nel 1995, Daniel Goleman scrive il libro “Intelligenza Emotiva” destinato a diventare il manifesto di questa nuova prospettiva di comprensione dell’intelligenza che avrà una grande influenza sia in ambito psicologico sia in ambito organizzativo/aziendale.

Nel sopracitato libro, Goleman definisce così l’intelligenza emotiva: “la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare”. L’impatto del libro di Goleman è così dirompente che nello stesso anno, il 2 ottobre per la precisione, il Time dedica la copertina proprio all’EQ (Quoziente Emotivo) rivolgendo una domanda a tutti i lettori: “Qual è il vostro EQ?”.

Da quella copertina ad oggi molto si è detto e scritto riguardo il ruolo e l’importanza dell’intelligenza emotiva in ambito professionale, tanto da farla diventare una buzzword da utilizzare con slancio e vanto durante una riunione o workshop per impressionare il proprio capo. Fuori dalle mode e dalle etichette, cosa rimane del lavoro di Goleman?

Sicuramente molto, nell’attuale scenario lavorativo dove le competenze tecniche e l’expertise sono considerate un prerequisito, sviluppare una solida intelligenza emotiva è un vantaggio competitivo capace di accrescere il livello delle proprie performance nonché della soddisfazione personale.

Credo che il valore degli studi sull’intelligenza emotiva sia da ricercare nella sua applicazione concreta, nella propria vita professionale seguendo come traccia le 4 dimensioni indicate da Goleman:

  1. Consapevolezza di sé: ci consente di capire chi siamo e come reagiamo di fronte alla realtà, e di individuare i nostri punti di forza e di debolezza.
  2. Gestione di sé: ci motiva e ci aiuta a regolare i nostri comportamenti in modo da agire adeguatamente in svariate situazioni.    
  3. Consapevolezza Sociale: ci consente di capire ciò che gli altri dicono e sentono e perché si sentono ed agiscono in quel determinato modo.
  4. Gestione relazioni sociali: ci consente di ottenere i risultati desiderati lavorando con gli altri.

Una domanda viene spontanea, posso allenare l’intelligenza emotiva? Come?

La risposta fortunatamente è sì, percorsi di formazione, di coaching individuali e di team possono lavorare sulle singole competenze che sorreggono i 4 domini.

Alcuni esempi? L’ascolto, l’empatia, l’autovalutazione, l’influenza, l’orientamento ai risultati, la resilienza…solo per citarne alcune.

Approfondiremo il tema nei prossimi articoli nel frattempo vi lascio con una scritta che ho letto su una lavagna qualche anno addietro in un corso di coaching a Londra: “Emotional intelligence is not about hugging each other all the time”.