Intelligenza Emotiva: astenersi impazienti

La sfida dei 21 giorni

Ho appena terminato un corso di Intelligenza Emotiva per un importante cliente che opera nel Corporate Banking.

Il corso, seguendo il modello di Goleman, è stato suddiviso in 4 moduli, uno per ciascuna dimensione: Consapevolezza di sé, Gestione di sé, Consapevolezza organizzativa e Gestione delle relazioni. A distanza di un mese dalla fine dei momenti d’aula, per condividere i progressi rispetto il piano d’azione individuale definito durante il percorso, è stata prevista una sessione di coaching 1to1 con tutti i partecipanti.

Durante le sessioni ho ricevuto un feedback da tutti i partecipanti che suonava più o meno cosi: “Durante le giornate d’aula ho trovato molti spunti interessanti, a volte un po’ teorici, ma è stato solo quando ho osservato i miei comportamenti ed ho attuato il piano d’azione che ho ridato un grande valore al percorso fatto assieme”.

Questo feedback mi ha fatto molto riflettere su quanto abbiamo dimenticato dell’arte della pazienza, abituati ad una società digitalizzata nella quale la velocità di risposta è l’elemento generatore di soddisfazione.

Se poi consideriamo che lo stesso Goleman nel suo mastepiece “Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici” sottolinea come la capacità di autocontrollo e di rinvio delle gratificazioni sia «l’essenza stessa dell’autoregolazione delle emozioni», ecco il paradosso: voler migliorare la propria intelligenza emotiva senza utilizzarla.

Allora come fare? Questa è la vera domanda da un milione di bitcoin.

Anzitutto accettare che il cambiamento diventi tale quando è attuato e non solo desiderato, cioè quando i nuovi comportamenti diventano abitudine nel tempo. Vogliamo essere più empatici con i nostri collaboratori? Perfetto! Ottimo proposito, allora dobbiamo mettere in campo comportamenti virtuosi che migliorino il nostro livello di ascolto. Un esempio? Non interrompere, fare domande aperte, ridare al nostro interlocutore un ritorno di aver compreso.

Per installare nuovi comportamenti sono necessari tempo e costanza, molti testi e blog sul tema del miglioramento personale riportano alla famosa formula del “21 giorni”: periodo per far diventare una nuova abitudine un comportamento . Questa mitica formula deriva da uno studio molto citato, spesso in maniera semplicistica, del medico Maxwell Maltz che divenne famoso grazie al libro “Psicocibernetica” edito la prima volta nel 1960. Il peccato originale in questo caso fu duplice, da un lato lo studio di Maltz non era statisticamente significativo, dall’altro, nel testo, si parlava di periodo minimo. Nel 2009, un nuovo studio pubblicato sul European Journal of Social Psychology, su un campione di 96 individui che dovevano cambiare un’abitudine rilevò come il periodo medio per installare una nuova abitudine sia invece di circa 66 giorni.

Senza volerci addentrare nella ricerca della verità assoluta, sapendo già dell’impossibilità di questa missione, risulta però chiaro come il cambiamento passi dalla variabile tempo.

Per questo crediamo che per aumentare l’efficacia degli interventi formativi e creare un vero cambiamento sia fondamentale integrare un periodo di lavoro sul campo pianificato all’interno di un piano d’azione individuale.

 

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    Nicola Chighine

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